29 novembre 2013

Recensione "Artemisia" di Anna Banti

Artemisia di Anna Banti

Cover:


Trama:
"Oltraggiata appena giovinetta, nell'onore e nell'amore. Vittima svillaneggiata di un pubblico processo di stupro. Che tenne scuola di pittura a Napoli. Che s'azzardò, verso il 1638, nella eretica Inghilterra. Una delle prime donne che sostennero colle parole e colle opere il diritto al lavoro congeniale e a una parità di spirito tra i due sessi" (A. Banti). Artemisia Gentileschi, pittrice caravaggesca, è una delle figure femminili più affascinanti della prima metà del Seicento. Il romanzo, benché basato sulla realtà storica, è piuttosto un immaginario diario a due, un intenso dialogo al di là del Tempo e della Storia tra due donne che furono artiste. Questa biografia che si fa autobiografia, per la quale la Banti crea una "scrittura nervosa, intima, da fioretto, tutta finte e assalti, ma impreziosita da uno scintillìo di florida e lussuosa seta frusciante", costituisce "uno dei classici più strani e impervi di tutta la letteratura italiana del Novecento."

Recensione:
Questo libro è scritto proprio bene. Però è confuso.Confusionario.Confondente.Conf...si vabbè,che fa confusione.
Perché la scrittrice evidenzia la differenza fra il tempo della scrittura e quello della storia raccontando entrambi senza alcuna distinzione particolarmente marcata.
Per i comuni mortali: Anna racconta a partire da quando, in un bombardamento di Firenze nella Seconda Guerra Mondiale, la sua casa brucia, e con essa il suo manoscritto, a cui si era dedicata da tempo, su Artemisia Gentileschi, una nota pittrice italiana di tre secoli prima.
E mentre l'autrice girovaga tra le macerie e la gente ancora in pantofole, fuggita dal letto per scampare alle bombe, le appare il fantasma di Artemisia, e lei si trova a rivivere tutta la storia della pittrice, ma a mozziconi, nei suoi pensieri, omettendo parti e saltando avanti e indietro per il tempo, nella commemorazione e nel dispiacere di quel libro perduto.
Cosa intendevo dire con confusing (lo scrivo in inglese per sicurezza, a volte gli aggettivi della mia stessa lingua mi lasciano perplessa)? Che questo schema di salti e rimandi e omissioni, volto a rispecchiare il modo in cui un persona pensa normalmente, è un po' difficile da decifrare e all'inizio vi assicuro che non ci capirete un beato accidente. Poi ci si abitua, ci si prende la mano e la lettura diventa scorrevole, permettendovi di vedere quanto questo sia carino.

Ah, una nota: la scrittrice era molto dedita alla causa femminista, quindi il libro conserva questa caratteristica. A mio parere non guasta, considerando quello che ha passato Artemisia (vedi trama),però ve lo dico così, se ci fosse qualcuno che ha dei problemi con queste cose...
"Poveri uomini: costretti da millenni a comandare e a cogliere funghi velenosi; queste donne che fingono di dormire al loro fianco che stringono fra le ciglia seriche al sonno delle guance vellutate, recriminazioni, voglie nascoste, segreti progetti..."

Forse vi sarete resi conto che sto cricumnavigando un argomento che in genere tocco sempre: i protagonisti.
E' solo che non mi sembra il caso di commentarli: sono persone realmente esistite che hanno realmente fatto quelle cose, quindi che senso avrebbe dire che hanno sbagliato in certi momenti o che certi aspetti del loro carattere non ci sono piaciuti? Non è molto rispettoso nei confronti di quelle persone mettermi a commentare le loro scelte e i loro comportamenti.
Voglio solo dire che ho amato molto il rapporto fra Francesco, il fratello di Artemisia, e quest'ultima, e che ho trovato particolarmente toccante la scena della morte di Orazio (il padre della pittrice),che ora vi riporto (OCCHIO SPOILER):
I nomi che la memoria conserva sono anche loro penduli,
disanimati, quasi incapaci di farla soffrire, e occorre
talvolta la materialità di un gesto - alzare il capo, fissar
gli occhi nel vuoto - per riafferrare un lembo di quella
sofferenza che era pur vita. Ma anche amare il dolore è
difficile, la notte che finalmente cade sembra assolverla da
questo impegno. Una certezza basta a sostenerla: c'è il babbo
accanto a lei, il babbo che respira, lavora, non può morire.
Non può morire un uomo che dalla vita estrae soltanto
suggerimenti astratti di luce, di colore, di forme, un uomo che
non sbaglia mai: finché questi esisteranno, lui esisterà.
Orazio da lungo tempo non consuma la vita, la vita non lo
consuma.(...)
 
All'alba è in piedi, fra vasetti
scodelline pennelli essenze che prepara lui stesso, non vuole
più garzoni. Né si arrabbia più, i suoi contatti col mondo sono
effimeri, il suo bicchiere è sempre vuotato a metà, il cibo
appena assaggiato, egli li allontana con un gesto secco quando
la figlia glieli presenta sul lavoro, verso mezzogiorno.
Mirabile che, tanto abbandonato nel dipingere, ora a quelle sue
mani color cenere, appena un po' venose, nessun colore si
attacchi, sicché par di vederlo difeso da un vetro. Le sue
azioni sono così salde, così assicurate da un'esperienza
infallibile che una miracolosa incolumità da ogni pericolo
d'errore ne scaturisce e si diffonde intorno. La avvertono
anche i pochi artisti che continuano a visitarlo: sebbene egli
abbia smesso di parlar dell'arte e quasi d'ogni altro
argomento.(...)
 
Adesso lei
non si allontana, non sfugge più. Fidando nel padre, si
appoggia interamente a quel motivo che è un'innocente astuzia,
di assisterlo: mentre sa di essere da lui assistita. Ma una
sera d'agosto, mentre s'avvia in punta di piedi per salire alla
sua soffitta, Orazio si sveglia. Usava addormentarsi su un
seggiolone rigido, la schiena appena sostenuta, il capo libero
ed eretto: né la figlia era sicura che, più tardi, si
spogliasse e si stendesse. Nel momento che avanza la mano alla
maniglia, tenendo ferma nella sinistra la lucerna, i suoi occhi
incontrano quelli del padre, aperti e come fissi in un
pensiero. Hanno, pur nella penombra, una chiarezza di smalto,
ogni pimento dell'iride grigia vi concorre; mentre la bocca ha
perduta la sua solita durezza arcigna e s'ammorbidisce, quasi
si gonfia, in una nuova titubanza. Sotto questo sguardo così
fermo, si ferma la donna e sente che deve parlare. "Babbo" (e
la campana della Torre par che voglia, proprio in questo punto,
soverchiarla). "Babbo..." Il suo piede è ancora sospeso che già
la risposta viene, non in forma di suono, ma per un battito
della palpebra che assente. "Sì" dice Orazio con quel segno, e
forse non voleva: somiglia a un grande uccello scarno e malato
che veli a se stesso, col panno dell'occhio, la propria
sofferenza. La palpebra si rialza, l'iride appare ancor più
scolorita, allargata, e guida Artemisia meglio della lucerna,
mentre si avvicina, sempre in punta di piedi, quasi per
sottrarsi all'indagine del vecchio viso su cui un timore
pudibondo si definisce, e un allarmato ascoltarsi. E come la
figlia gli è accanto - ma non s'è ancor piegata su di lui -
agli insoliti sensi che hanno invaso la faccia del pittore, un
altro se ne aggiunge non meno insolito: che è, non c'è dubbio,
di soddisfazione, di contentezza; e si sparge per le rughe e ne
lievita e alleggerisce la profondità, sino all'angolo
dell'occhio, che pur non sorride. "Vi sente qualcosa, babbo?" E
ancora una volta la voce astratta della gran Torre sopravviene
a tagliare e confondere il patetico accento di una Pisa dorata,
irraggiungibile, a cui la donna si lega, senz'averla mai vista,
per via di sangue. Le palpebre del vecchio sembrano ora
assottigliate, fragilissime e precarie contro lo sguardo che
schiacciano. (...)
 
Ma avanti di scivolare e
abbandonarsi, la mano di Orazio cerca e stringe al polso quella
di Artemisia, ed è una stretta di ossa convulse, e brucia da
farle rammentare la corda dei "sibili", quando ebbe la tortura
a Corte Savella. Piange la figlia; e non sa se per tenerezza o
per sgomento. Di nuovo gli occhi del pittore si aprono e vi si
legge, per la prima volta, quell'ansia smarrita di partecipare
un dolor troppo forte, un messaggio che è quasi un rancore
verso i sani. E il vecchio, dopo decenni di esilio, ventenni di
vita virile e solitaria, ritorna a un gemito nostrano,
dialettale: "Ohimmei!" raccolto in età tenera, sulle rive
dell'Arno. Una mamma toscana, un bambino toscano infermo, sono
adesso questa donna e questo vecchio. Così Orazio si lagnava da
piccolo, così sua madre avrebbe potuto assisterlo, spaurita, se
si fosse trovata sola fra le deserte pinete pisane, accanto al
mare, col nato in grembo. (...)
 
Artemisia gli si agita
intorno, non osando né toccarlo, né lasciarlo, e ritrovando
certi gesti di bambina alle prime faccende, per improvvisare un
rimedio. Sul pietrone dell'immenso camino riunisce un
combustibile di fortuna, spezza sul ginocchio un vecchio
telaio, trova e accende l'esca. "Ora" dice "ora faccio fuoco,
ora vi passa." Quando, finalmente, arsiccio e ostile il legno
comincia a crepitare da quel mucchietto sperduto nel grande
antro, par che la vista delle fiamme le ispiri un nuovo
terrore, lo sbigottimento per una realtà di sciagura che va in
fretta, prevale sull'annuncio, e ancor non le si crede. Le più
assurde scommesse nascono come funghi malvagi: se questo tizzo
prende, se quella lingua azzurra non scompare... La persona
china è terribilmente attenta, come insensibile e tutta dedita
a una cura materiale. Così, massaia bambina, accudiva alla
minestra del padre e dei fratelli, e la notte veniva prima che
babbo tornasse. Ma c'erano i grilli, fuori della porta, nel
sereno delle vigne, e le campane dei frati. Una comare finiva
sempre per affacciarsi e aiutarla a sganciare il paiolo. E'
povero questo fuoco, è maligno, sempre sul punto di smorire, e
l'acqua, messa a scaldare in un vecchio coccio, geme e frigge
stillando da una crepa.(...)
Proprio bello vero?
Sapete qual è il problema? Giusto adesso girovagando per Internet ho scoperto che la scrittrice è prettamente sconosciuta alla maggior parte delle nuove generazioni, e i suoi libri non sono stati ripubblicati da 30 anni! That's a shame!

Sinceramente non è il mio genere, ma so apprezzare un buon libro, e questo era proprio meritevole.
Ve lo consiglio, se vi sentite in vena di un pizzico di biografia.
 Ps: credo che il dipinto della cover sia "Giuditta e Oloferne", quello che aiuta la pittrice a diventare famosa e in un certo senso a liberarsi dalle memorie traumatiche dello stupro subito da Agostino.

Citazioni:
"Ascoltava Artemisia e perdonava.
Spento ogni rancore, le pareva di stender la mano verso la violenza pentita, lei forte e senz'armi"

Voto:
****4 asterischi.Bello ma non il top

Autrice:
Seria Nilla



 

Nessun commento:

Posta un commento